Il lutto. Quando c’è l’amore neanche la morte è un confine

Essere travolti da un lutto, soprattutto improvviso e tragico, ci pone davanti ad una grande sfida di fronte alla quale ciascuno e’ protagonista del proprio dolore. Ogni pensiero è ricolmo di paura, senso di impotenza e sofferenza senza respiro. E’ qualcosa di più grande di noi e non sapere cosa ci si deve attendere in tali circostanze amplifica ancor più il nostro doloroso sentire. 

Non esistono vere e proprie parole capaci di descrivere la frantumazione della propria interiorità che trascina inevitabilmente ogni aspetto fisico. Dal punto di vista strettamente psicologico, il sobbalzo mentale al quale si viene sottoposti, sposta ogni nostra attenzione all’incognita che la vita per natura presuppone da sempre. 

E’ tutto tristemente nuovo, tutto da conoscere, scoprire e comprendere. La fragilità diventa padrona del quotidiano e una semplice parola o un semplice abbraccio amico scioglie lacrime profonde. Psichicamente l’assenza fisica di qualcuno a noi molto caro può creare intense sensazioni di dolore fisico e psicologico, con conseguente distacco e chiusura verso tutto ciò che resta. 

Sembra che di fronte all’emersione di certi dolori, di fronte ai quali troviamo a confrontarci volenti o nolenti, non possediamo alcun potere di azione. La cultura e la religione possono influenzare il concetto stesso della morte, tanto è vero che alcuni credono nella reincarnazione e altri alla resurrezione dell’anima, ma tutto ciò per comprendere come le storie di vita di ciascuno, il carattere e la personalità, possano incidere sul rapporto con la morte stessa. 

Psicologicamente nell’affrontare avvenimenti tragici dovremmo essere in grado di esternare il proprio stato emotivo, le proprie ansie, le proprie paure, al fine di scansare, affrontare o alleggerire pensieri ansiogeni o depressivi. 

E’ molto importante rivolgersi a chi di competenza, può dare libero sfogo al proprio dolore, senza approcci di giudizio, ma solo di supporto psichico volto al riequilibrio interiore della persona emotivamente provata. Purtroppo di fronte al lutto, si possono sperimentare pensieri invasivi e ossessivi, accompagnati da scarso interesse, scarsa cura rivolta a se stessi e a chi è rimasto accanto, problematiche relazionali e lavorative, disturbi dell’alimentazione e reattività esagerata. 

Gran parte di queste manifestazioni sopra descritte possono far breccia anche dopo mesi dall’accaduto e spesso si configura un vero e proprio “disturbo post-traumatico da stress”. Inoltre, in seguito, potranno verificarsi disturbi di somatizzazione (risposte del nostro corpo), quali ad esempio: problemi digestivi, mal di testa continui, febbriciattole, malattie della pelle, e tutto ciò avviene in quanto il nostro sistema immunitario, bombardato da paure, sofferenza e ansia, abbassa le proprie difese. 

Il lutto è di per sé un’inevitabile e normale reazione, che di norma si evolve in precise fasi: una prima fase comprende una sorta di ottundimento e confusione mentale, accompagnata da tanta incredulità; in un secondo momento si familiarizza con forti emozioni di rabbia e si sperimenta anche il desiderio di riabbracciare la persona cara; un’altra fase è caratterizzata da grande disperazione e senso di impotenza, una ricerca al distacco, una sorta di meccanismo difensivo, volto al tentativo di protezione di se stessi, quasi per timore di impazzire; infine, dopo lunghissimo tempo e grandi e difficili tentativi, per la legge della sopravvivenza, si può giungere alla fase dell’accettazione e della rassegnazione. “Non esiste perdita, perché l’amore non ha confini, nemmeno la morte” 

Psicologa
dott.ssa Fabiana Cristina 

I sette vizi capitali, una visione psicologica.

Per la rubrica “Oltre le Nebbie” curata dalla dott.ssa Fabiana Cristina 

Al termine “virtù” si contrappone la piccola parola “vizio”, la quale ha derivazione latina “vitium”, che indica una sorta di cattiva abitudine, di mancanza o difettosità. Nella riconoscibilità ed imperfezione della natura umana, sono stati individuati i più importanti “vizi capitali” che corrispondono per l’esattezza a sette.

Oltre le nebbie

 

 

La paura della diversità

La “psicologia sociale” focalizza la propria attenzione sullo studio empirico di come i pensieri, i sentimenti e i comportamenti delle persone subiscano l’influenza della presenza reale, immaginaria o implicita di altre persone ( Allport. 1985), in riferimento a ciò, molto spesso l’essere umano manifesta una certa dose di paura rispetto a tutto ciò che viene rappresentato dal  “diverso”. Diverso è il colore della pelle, l’orientamento sessuale, nonché il credo religioso, che possono suscitare una serie di emozioni negative con una conseguente reazione di disprezzo. Ma questo meccanismo cognitivo che avviene in gran parte spontaneamente, è il risultato della cosiddetta “categorizzazione sociale” che si presenta come un processo cognitivo, capace di dividere il mondo sociale in vere e proprie “categorie”, che a loro volta accentuano la percezione delle differenze o delle somiglianze. E’ altrettanto vero che alla base di tale processo di categorizzazione, troviamo la formazione del “pregiudizio” che può assumere significati diversi, tutti in qualche modo collegati alla nozione di preconcetto o “giudizio prematuro”, basato su argomenti pregressi e/o su una loro indiretta o generica conoscenza (Wikipedia).

Di solito, purtroppo i pregiudizi partoriscono atteggiamenti ostili e di discriminazione, verso tutto ciò che è “diverso”. Non a caso nell’ambito della psicologia sociale, vengono indicati dei meccanismi conseguenziali ai pregiudizi  ben precisi, quali ad esempio “la profezia che si auto-avvera” che si verifica quando eventuali supposizioni su persone, finiscono per influenzare l’interazione con la stessa, modificandone il comportamento, che risulterà essere più vicino alle nostre attese, ( ad es. esiste il pregiudizio che indica come il comportamento di un migrante, sia di solito ostile e piuttosto violento, motivo per il quale, ci si potrà rivolgere nei suoi confronti in modo poco gentile, spingendolo a sua volta ad adottare un atteggiamento che confermi le aspettative iniziali ).

Altro meccanismo conseguenza dei pregiudizi, corrisponde alla “minaccia dello stereotipo” in cui gli individui oggetto di stigma sociale ( fenomeno sociale che attribuisce connotazioni negative a membri di comunità in modo da declassarlo a livelli inferiori) sono consapevoli di poter essere giudicati e trattati secondo degli stereotipi ( opinioni rigidamente precostituite e generalizzate, non acquisite sulla base di esperienze dirette e che prescindono dai singoli casi, ma su persone o gruppi sociali “Wikipedia” ) e inconsapevolmente possono rafforzare col proprio comportamento quegli stessi stereotipi. Psicologicamente, “la paura del diverso” corrisponde ad una sorta di modalità difensiva, nella quale viene attivata l’ansia, rispetto a ciò che è ignoto e che avvia un percorso percettivo di pericolosità, poiché potrebbe modificare l’equilibrio della propria identità personale. In realtà, la carta vincente deve essere rappresentata dall’incontro con gli altri, dal costruttivo confronto e dal superamento dei propri timori mentali, contenendo quanto più possibile eventuali risvolti negativi.

Psicologa dott.ssa Fabiana Cristina

La verità psicologica sulle bugie

Per bugia di norma intendiamo un’alterazione consapevole della verità nel tentativo di nascondere qualcosa di doloroso o increscioso. Ma in realtà quali sono le ragioni per le quali diamo vita ad un tale atto? Generalmente l’atto del mentire nasconde la paura conseguenziale di una qualche situazione, certamente poco piacevole. Ingannare è  “dare alla bugia una parvenza di verità”affinchè l’altro possa essere indotto a credere appunto alla menzogna. Ovviamente, la mancanza di verità è pur sempre uno strumento, largamente utilizzato, volto al raggiungimento di determinati obiettivi, che tentano di manipolare e controllare gli altri. Esistono le cosiddette “bugie bianche” il cui scopo corrisponde al non ferire, lusingare o far felice altri soggetti.

Si mente per evitare le punizioni; si mente per dare un’immagine positiva di sé; si mente per salvaguardare la propria privacy e si mente anche per evitare conflitti.  In ogni caso si mente sempre per una svariata serie di motivi, fra i quali innanzitutto, vi è di base un profondo senso di insicurezza ed una bassa autostima, che porta a rappresentare la nostra stessa persona in modo non corrispondente al vero, al fine di non incorrere nell’eventuale mancata accettazione da parte degli altri. Certamente tutti ci troviamo volenti o nolenti a dar vita ad una qualche piccola bugia o omissione, in quanto a volte le circostanze ci inducono a farlo. Ma ciò che fa la differenza è lo scopo della bugia, che per natura è pur sempre strategico, mentre invece adoperare la menzogna senza scopo, rappresenta uno stato patologico.

Quando si parla di bugia patologica, oltre a mentire senza scopo, il “bugiardo”  o “mitomane”  non è in grado di distinguere la verità dalla fantasia e deforma la realtà a proprio modo, mentendo compulsivamente e all’infinito.  Il termine “mitomane” deriva dal francese, ed  indica colui il quale costruisce dei “miti” e rappresenta una manifestazione psicopatologica, che necessita della costante esigenza di distorcere la realtà, creando in modo intenzionale, degli scenari fittizi e improbabili. Le esigenze psicologiche del “bugiardo patologico” corrispondono alla volontà di proteggersi dal giudizio degli altri; ad accrescere la propria autostima; a nascondere le proprie fragilità; suscitare compassione o ammirazione nelle altre persone. Purtroppo le cause della “bugia patologica” vanno ricercate in quella sorta di meccanismo di difesa verso un mondo che fin dal periodo infantile si è mostrato ostile, imponendo la creazione di una personalità debole e fittizia, al fine di poter essere apprezzata e stimata.

La “malattia delle bugie” viene definita anche “pseudologia fantastica” che elabora in maniera cronicizzata menzogne, che descrivono una realtà parallela molto più verosimile alla vita che si desiderava, utilizzando un’immaginazione molto fervida, e spesso le esperienze che inventa di sana pianta, vengono elaborate dalla sua mente come se fossero state vissute concretamente. Purtroppo la bugia patologica diviene una caratteristica intrinseca della personalità del soggetto in questione, che finisce col vivere nell’angosciante necessità di nascondere perpetuamente le proprie fragilità e paure, ma vivendo nell’illusione, il mitomane perde il contatto con la realtà, inoltre, ingannare se stessi confonde, in quanto si diviene ingannatori e ingannati contemporaneamente. Lo psicologo Daniel Goleman famoso per la sua teoria sull’intelligenza emotiva ( ovvero il modo attraverso cui siamo capaci di riconoscere le emozioni ) sostiene che ciascun essere umano è dotato di una parte “cieca mentale”, che non vuole e non sa comprendere la realtà, motivo per il quale, quando ci si trova dinnanzi ad un evento spiacevole, fingiamo a noi stessi, costruendo una realtà alternativa, e tale bugia appare di vitale importanza, al fine di proteggere il nostro sé da eventuali traumi che deriverebbero se solo si prendesse coscienza di come stanno le cose davvero.

“Colui che mente a se stesso e dà ascolto alla propria menzogna arriva al punto di non saper distinguere la verità né dentro se stesso, né intorno a sé e, quindi, perde il rispetto per se stesso e per gli altri”

Dostoevskij

Psicologa dott.ssa Fabiana Cristina

Vacanze: il tempo rigenerante per il benessere psico-fisico [VIDEO]

Innanzitutto l’etimologia del termine “vacanza” deriva dal latino “vacare” ovvero essere vuoti o liberi. Quest’anno in modo particolare le ferie avranno certamente un sapore insolito, soprattutto caratterizzato dalla fase di convivenza con il Coronavirus, le cui parole d’ordine saranno pur sempre “distanziamento”e prevenzione. In ogni caso l’estate è finalmente con noi e ci offre l’opportunità di rallentare la frenesia del quotidiano vivere, infatti molte persone stanno già godendo o sono in procinto di vivere la loro pausa dal lavoro.

Il momento tanto atteso delle ferie, rappresenta un aspetto fondamentale per il benessere psico-fisico di ciascuno, permettendoci di recuperare dallo stress e dalla faticosa routine, che possiamo definire come la struttura psicologica sulla quale costruiamo il nostro sé. Il lavoro è ovviamente routine, per cui andare in vacanza significa spezzare tale routine e abbandonare parte della nostra identità, nonché il controllo costante su tutto ciò che è abitudine , chiedendoci di vivere un tempo tutto nostro. In realtà sia che si scelga il mare o la montagna o la campagna o di arrivare fino in capo al mondo, la vacanza non deve essere solo viaggio, ma deve rappresentare la capacità di “fare vuoto nella propria mente” raggiungendo una nuova dimensione, al fine di rigenerare il proprio stato interiore, in quanto molto spesso, pur essendo in vacanza è presente lo stato psicologico dell’incessante operare.

E’ basilare prendersi cura della nostra psiche, poiché da essa tutto discende, non a caso infatti dalla mancata cura di essa tutti i disturbi e disagi psichici guidano il nostro vivere o sopravvivere. Non ci vuole molto per dedicarsi completamente a se stessi, basterebbe semplicemente fermare ogni attività e dare spazio al nulla e a ciò che possiamo definire “una mente silenziosa”. Naturalmente anche in vacanza il nostro cervello non può smettere di pensare, ma vivendo dei ritmi diversi e più dilatati, l’approccio alle cose risulta più sereno. Anche il rientro dalle ferie può essere vissuto come una ripartenza più positiva e propositiva, in quanto le pause consentono la produzione di pensieri maggiormente innovativi ed originali. Praticamente è come se in vacanza evolvessimo noi stessi all’acquisizione di nuove consapevolezze, delle quali dovremmo farne tesoro, rivitalizzando la salute del nostro stesso cervello. Difatti poter ridurre lo stress (dormire meglio e maggiormente, fare attività fisica all’aperto, condividere momenti con gli amici, evitare quanto più possibile l’utilizzo delle tecnologie, visitare posti nuovi ecc.) significa ottimizzare anche le nostre capacità cognitive.

Vacanza deve essere sinonimo di benessere personale, quindi l’obiettivo è poter incidere sullo stato di salute, fisico e mentale creando vera e propria felicità, che la si può ottenere anche attraverso un processo di introspezione di se stessi alla ricerca delle proprie fragilità, al fine di convertirle in veri punti di forza. Non a caso negli ultimi anni è andata sempre più sviluppandosi la “ psicologia del turismo”che pone l’accento e studia i comportamenti, le motivazioni, le esigenze soggettive e le intenzioni del turista in vacanza, in una fase di riscoperta di se stesso . In ogni caso per concludere ritengo fondamentale imparare a ritagliarsi nella propria quotidianità, degli spazi pausa che non siano solo degli eventi isolati di quei pochi giorni estivi all’anno, ma divengano quella routine che affianchi la nostra classica e abituale routine di tutti i nostri giorni.

Psicologa Dott.ssa Fabiana Cristina

Videoarticolo – L’invidia ovvero quando l’erba del vicino è sempre più verde

Esistono confronti non solo sociali, che implicano una certa ostilità, dai quali spesso si esce sconfitti, frustrati e inadeguati. Si dice sempre : “l’invidia è una brutta bestia” e questa entra di diritto a far parte dei sette vizi capitali, del resto l’etimologia della stessa parola è composta da “videre” ( vedere, osservare) ed è preceduta da “in”  formando così la parola “invidere” quindi invidiare ovvero “guardare male” o “guardare contro”. K ierkegaard descrive l’invidia come una “dolorosa ammirazione segreta” nella quale si manifesta l’infelicità per la serenità, la prosperità e il successo altrui. Nel Purgatorio di Dante egli  rappresentava gli invidiosi con gli occhi cuciti da fili di ferro per punirli nell’aver gioito vedendo le disgrazie altrui. Tale sofferenza si incarna in una forma di disvalore della propria persona che innesca sentimenti di rabbia, di tristezza, di depressione, di vergogna,  di ingiustizia e ovviamente di bassissima autostima.

Di norma i soggetti invidiosi sono affetti da grande insicurezza e da uno stato di insoddisfazione costante, del resto tutto ciò affonda le sue radici dal confronto che si opera con gli altri. Da tale confronto scaturisce la consapevolezza dei propri limiti ed una serie di sentimenti negativi verso se stessi e verso gli altri, che catastrofizzano il vivere quotidiano. Esiste una distinzione netta fra il sentimento “dell’invidia” che rappresenta un’emozione, un meccanismo psicologico che compare quando acquisiamo consapevolezza che l’altro possiede quel qualcosa che a noi manca e il sentimento della “gelosia” che rappresenta invece il timore, la paura di perdere ciò che ci appartiene. L’invidia è una forma di comunicazione intensa ed interiore , che segnala con molta probabilità l’assenza in noi di  quel qualcosa che rivediamo nell’altro, e che intrappola in un profondo senso di inferiorità e che rimescola sensazioni ed emozioni tutt’altro che positive. Quando invidiamo il successo altrui, si manifesta e prende il sopravvento la sensazione di sconfitta, che psicologicamente diviene una forma di ruminazione costante, la quale danneggerà molte forme di rapporti familiari, lavorativi e amicali.

Psicologicamente operiamo una distinzione tra diverse forme di invidia, ovvero:  “invidia benigna” che rappresenta una forma di ammirazione  che spinge ad un’azione migliorativa di se stessi  ; “invidia maligna” che possiede solo caratteristiche negative, limitanti  e destrutturanti  verso se stessi e glI altri e  che  a sua volta si  suddivide in “invidia depressiva” nella quale il confronto con altri ci consegna ad emozioni quali la tristezza e lo sconforto  e  ultima distinguiamo anche “l’invidia ostile” nella quale si manifesta una forte rabbia, volta al desiderio di screditare o addirittura portare al fallimento la persona oggetto di invidia. Purtroppo molto spesso infatti le manifestazioni tipiche dell’invidia corrispondono all’odio, alla svalutazione dell’altro, al tentativo di appropriamento dei beni altrui o dei suoi meriti, nonché il pettegolezzo con l’intento di distruggere l’immagine o i meriti del soggetto invidiato.

Molte forme di invidia divengono patologiche e rendono davvero disfunzionale il  mondo e il modo di vivere della persona , dando vita a delle distorsioni cognitive ( o errori procedurali di pensiero o semplicemente errori di pensiero)  che causano sofferenza emotiva, poiché le convinzioni negative su di sé, spesso dipendono dal modus operandi sbagliato di osservare la realtà. Per cui è fondamentale al fine di ridurre, modificare o sradicare certi comportamenti disfunzionali che risultano conseguenti all’invidia, cercare di riconoscere strategie di coping volte al superamento di certi stati d’animo che inquinano l’equilibrio psico-fisico. La psicologia dell’invidia  deve condurre al riconoscimento della duplice funzione di tale sentimento evidenziando in primis la volontà  di mettere in discussione se stessi con l’obiettivo di migliorare  la propria performance,  la propria produttività e le proprie azioni.  Si dice che “l’invidia nasca quando si è desiderosi di qualcosa, ma non si hanno prospettive”, ebbene allora bisogna imparare a modificare i propri limiti in risorse e costruire una vita degna di senso, nella quale anche le proprie fragilità divengano valori imprescindibili della vita di ciascuno.

La consapevolezza, l’osservazione di se stessi, dei propri sentimenti e delle proprie emozioni ci permetterà di guardare all’invidia come ad un indicatore non necessariamente doloroso, che possiamo volgere a nostro favore per il raggiungimento di ciò che vorremmo essere. Quindi un’emulazione può divenire positiva solo quando avremo appreso ed accettato incondizionatamente,  l’importanza delle capacità altrui, che desideriamo fortemente acquisire, senza vissuti deplorevoli di vergogna, in quanto l’invidia nella sua accezione più comune non è certamente considerata un sentimento nobile. Per cui se  impariamo a dare energia positiva ai nostri desideri e alle nostre emozioni, avremo sicuramente compiuto un passo avanti per il nostro benessere.

 

“ L’invidioso non usa mai ciò che ha, gli manca sempre ciò che vuole. Non ha, e non è: cerca di essere e di avere qualcosa che nemmeno conosce e che desidera solo perché appartiene ad altri”

( Vittorino Andreoli )

Psicologa Dott.ssa Fabiana Cristina

Videoarticolo – Il vuoto che ruba la vita

Come una tempesta arriva un vuoto che pretende attenzione , una tristezza incolmabile ed un silenzio assordante che confonde il rimuginìo dei pensieri .E’ ormai confermata anche dall’Oms, l’ascesa o meglio l’impennata di una sfilza di suicidi o tentati tali, eredità anche della pandemia covid-19, che ha scatenato un massiccio aumento dei casi di malattia mentale, sull’onda di un terremoto sociale, economico, emotivo e naturalmente psico-fisico. L’evento che riguarda il nord, il sud ed il resto del mondo, al momento lo possiamo quasi definire “ epidemia suicidaria “. Parecchie le persone ad essere oggetto di un tale fenomeno, in primis coloro i quali erano già in pregresso affetti da problemi psicologici , inoltre la vulnerabilità economico-lavorativa del post-pandemia, ha giocato un ruolo considerevole e di immenso stress per la salute mentale di ciascuno. Studi precedenti hanno già associato in situazioni emergenziali un aumento considerevole di depressione, ansia, insonnia, disturbi alimentari, attacchi di panico ecc.

La paura si è gradualmente trasformata in terrore, attivando uno stato di tensione costante e persistente, di vigilanza “iperarousal” che tende a cambiare l’assetto fisico e psicologico di ogni individuo. A livello fisico questo stato di attivazione si manifesta attraverso l’eccessiva sudorazione, l’aumento della pressione arteriosa, vertigini, disturbi gastro-intestinali, tachicardia, ecc. , mentre dal punto di vista prettamente psicologico, questo guida il nostro stato emozionale, la nostra memoria, la nostra capacità di decision-making ( o cosiddetto processo decisionale ), la capacità di coping ( ovvero la capacità messa in atto dalla persona per fronteggiare problemi o situazioni difficili , al fine di gestire o ridurre eventuali stress o conflitti),  pensiero confuso o distorto ecc.

In tale frangente prende vita “l’deazione suicidaria” che guida il pensiero in tal senso e pianifica lo stesso, e nella fase di “derealizzazione” detta anche “depersonalizzazione”nella quale il soggetto interessato percepisce distortamente il mondo esterno, si realizza e si mette in atto invece il progetto suicidario.  Fra i “disturbi mentali” in cui il suicidio rappresenta l’unica via d’uscita per far fronte alla propria sofferenza, ricordiamo innanzitutto “la depressione”, nella quale il soggetto smarrisce la speranza in se stesso, nel mondo e in un futuro che percepisce senza futuro. Tra i fattori ambientali che riconosciamo causa di suicidio, vi è la mancanza di lavoro o le perdite economiche e le delusioni affettive e relazionali;  ma ciò che accomuna e stigmatizza il tutto è la caratterialità di ciascun individuo, che incapace affronta le sofferenze emotive o la disperazione, con atti estremi e senza ritorno. Come strumento preventivo esistono anche in occasione della Pandemia le reti di servizio Help line, che fungono da ponte nella comprensione attraverso l’ascolto delle emozioni negative e dei drammi non solo interiori, che consentono al soggetto di prendere consapevolezza dei propri sentimenti, e dei propri pensieri disfunzionali. Ricordiamo è fondamentale allungare la mano agli operatori delle professioni sanitarie, per chiedere quell’aiuto in grado di rimarginare le cicatrici dell’anima.

Psicologa dott.ssa Fabiana Cristina

 

Videoarticolo – Fuori dal bozzolo! Serve calma e pazienza

La quotidianità covid-19 ci ha cambiati e adesso bussa alle nostre porte la nostra vecchia vita,che però  indossa un abito tutto nuovo, che dobbiamo imparare a vestire come una divisa che uniforma l’intero pianeta. Il cuore batte forte, forse anche troppo, quasi all’impazzata e paradossalmente si affaccia un nuovo stato ansioso diverso da quello vissuto nel periodo di lockdown. Ha inizio una nuova e graduale fase, quella della convivenza con il “mostro”a tempo indeterminato. Con il fiato mozzato, con la rabbia e l’insofferenza siamo sopravvissuti a tutte le  restrizioni imposte, e a tutti gli stati d’animo, divisi fra i più obbedienti e attenti e gli incoscienti sprezzanti delle regole, che mettevano a rischio se stessi e gli altri. La pandemia ha travolto e penalizzato socialmente, emotivamente ed economicamente la vita di ciascuno, e in molti nonostante tutto hanno retto e mostrato pazienza, caparbietà e maturità.

In pratica potremmo dire di essere stati travolti da un cataclisma di portata abnorme, che ha trascinato via ogni certezza, lasciando nel buio più totale ogni nostra domanda. Adesso si intravede la luce in fondo al tunnel, e sebbene vi siano gli euforici  malamente convinti di ritornare alla precedente normalità, contemporaneamente è presente la categoria di persone che temono e percepiscono la riapertura al mondo come un qualcosa di ancor più rischioso ed imprevedibile. Precauzione e convivenza sono le “parole chiave “ di questo momento che dovrebbe con cautela riaprire le porte alla vita ordinaria, ma in realtà vi sono più incognite che certezze, e queste guidano il nostro pensare che ci allerta e ci consegna alla paura e all’ansia. Tante le domande e troppo poche le risposte, ma di fronte al tempo sospeso della quarantena alcuni hanno riscoperto abitudini piacevoli, hanno setacciato la loro vita scoprendo che magari non era così impeccabile e allentando gli impegni in presenza e l’irrefrenabile corsa contro il tempo che non lascia tempo, la percezione di molti aspetti è davvero cambiata e probabilmente alcuni avranno difficoltà a riprendere il ritmo della routine.

Adesso dobbiamo ricominciare ad uscire dalle mura di casa ed abbandonare quel guscio protettivo che contraddittoriamente abbiamo amato ed odiato simultaneamente e che in termini tecnici psicologici prende il nome di “sindrome della capanna o del prigioniero”.  Utilizzeremo la mascherina che  forse nasconderà anche un timido sorriso e impareremo a riconoscere i segnali della comunicazione visiva ; avremo mille detergenti in uso per disinfettare ogni oggetto ed ogni superficie; le nostre mani saranno rivestite di gomma e il tatto sarà un senso, solo domestico; diverremo pazienti attendendo i turni in ogni dove; non ci riabbracceremo con tutta l’enfasi dei sentimenti per il timore del contagio; il distanziamento sociale sarà la consuetudine; un nuovo stress psicofisico caratterizzerà la nostra esistenza; sogneremo l’agognato ritorno ad una vera normalità;  insomma cosa ci attende  davvero fuori? Siamo pronti per la nuova fase?  Il momento è ormai giunto e di certo dalle indagini condotte pare che per potere affrontare la “Fase 2” circa il 62% delle persone necessiterà di un supporto psicologico, fortemente legato anche alle preoccupazioni per il futuro prossimo.
Ciò che è fondamentale in questo momento è poter esprimere le proprie sensazioni evitando qualunque tipo di rimozione. Inoltre  la calma e la pazienza, dovranno essere i nostri compagni di viaggio fedeli ,  che potranno consentirci di riappropriarsi del nuovo tempo molto gradualmente, “nel qui ed ora” senza proiettarsi ad un dopo troppo frettoloso.

 

La sindrome da cattiva notizia

Tutti i giorni siamo sempre tempestati da funeste notizie, ed oggi più che mai in pieno corona virus il ruolo dei media assume un carattere prettamente catastrofico. La drammaticità delle notizie rimbalza da una rete o da una testata all’altra senza via di scampo per il lettore o il telespettatore. Il “contagio” ( lasciatemi passare il termine ) emotivo diviene qualcosa al quale è impossibile sfuggire e il deturpamento psichico inevitabile. Cambiare canale o spegnere la tv impatterebbe positivamente con ogni individuo, ma nell’era della civiltà interconnessa e super informata ciò appare come una pura utopia. A questo punto il sistema d’allarme biologico del nostro cervello scatta e anche in assenza di stimoli scatenanti  ( arousal stato di attivazione, iper-arousal  stato di iper-vigilanza, ipo-arousal stato di accasciamento ) è presente e nella norma ci consente di soddisfare le nostre esigenze e fronteggiare situazioni emergenziali.

In questo preciso frangente molti soggetti sono in preda ad un costante iper-arousal ovvero uno stato di iper-vigilanza che può dar luogo ai “disturbi attacco di panico”; “disturbi d’ansia generalizzata”;  “disturbi depressivi”; “disturbi dell’alimentazione”; “disturbi del sonno”; “disturbi comportamentali” ecc. che nascono anche a causa di un’esposizione costante a forme di stress che distinguiamo in “Eustress”ovvero quello stress positivo e fisiologico, che risulta fondamentale per raggiungere obiettivi e traguardi e risulta essere piuttosto stimolante e il  “Distress” ovvero quello negativo che ci espone a diverse difficoltà, ansie, preoccupazioni e stati emotivi spiacevoli.

Il lungo momento che stiamo vivendo dovrebbe consentirci di mettere in atto una serie di strategie di adattamento (coping) che variano a seconda della vulnerabilità e della personalità  del soggetto. La martellante parata di notizie nere alle quali siamo sottoposti costantemente, ingigantisce ogni nostra preoccupazione pre-esistente e affonda la lama su paure inconfessate, che divengono quasi ossessioni, che possono turbare il nostro equilibrio psico-fisico molto pesantemente.

Le informazioni che ci giungono a causa di questa nuova “guerra invisibile” accrescono l’ansia e scoraggiano all’apertura di pensieri positivi. Ricercare notizie o le ultime news per conoscere gli aggiornamenti è un sacrosanto diritto e dovere,  ma interagire empaticamente soprattutto con le brutte notizie diviene un passaggio quasi indistricabile per il nostro quotidiano, che travolgerà la nostra serenità interiore. Il malumore diverrà l’onnipresente compagno del nostro quotidiano diurno e notturno, generando immagini che evocheranno emozioni tutt’altro che positive. A questo punto per evitare di precipitare in stati emotivi e psichici negativi senza ritorno, è necessario mantenere la propria lucidità,la calma e la fiducia, cautelando se stessi da eventuali overdose di notizie e defondersi da esse.

Dott.ssa Fabiana Cristina

La psicologa Fabiana Cristina: “della vicenda Coronavirus proviamo a sperimentare anche i lati positivi”

Un sorriso al “Corona virus”

Aiuto e adesso che facciamo!

La vita a causa del “Corona virus” per un dato periodo di tempo si svolgerà confinando i nostri spazi e il nostro tempo limitatamente a ciò che le disposizioni restrittive ci impongono. Imposizioni che cozzano col fisiologico bisogno di muoversi e approcciarsi socialmente all’altro. E’ il tempo del sacrificio vissuto con razionale responsabilità da parte di ciascuno,è un tempo sacro come sacra è la vita e come tale deve essere rispettato e difeso. Questo tempo possiamo definirlo “sospeso” fra paure e speranze che fra loro si intrecciano in un clima praticamente surreale, quasi fosse la trama di un film distopico.

Adesso anche se appare piuttosto noioso, stiamo imparando quanto più velocemente possibile ad attenerci alle regole (anche quelle del buon senso) proprio per fronteggiare diligentemente e responsabilmente questa inconsueta emergenza. Emergenza che soprattutto nei primissimi giorni, tra gli effetti collaterali, psicologicamente, ha dato luogo a pseudo-psicosi di massa e razzismo, le reazioni sono svariate ma cullano forti preoccupazioni per il futuro e la salute.

Ci troviamo a dover affrontare un nuovo concetto di tempo impastato di paure, dubbi, e noia che va superato senza alimentare eccessive preoccupazioni ma senza neanche minimizzare. La paura è una fra le emozioni primarie, lecite e fondamentali che funge da strumento necessario per salvaguardare la nostra stessa sopravvivenza e in questo momento sebbene sia dilagante, ci consente di affiancarci a quei comportamenti di protezione mentale e fisica, purchè non si tramuti in vero e proprio panico o isteria.

La chiusura di ogni attività pubblica che predilige nella norma assembramenti di più persone (pub, bar, ristoranti, palestre, cinema, teatri, musei, discoteche ecc.), la chiusura di molte attività lavorative e l’eclatante sospensione delle attività scolastiche ed universitarie in presenza , ha fornito una misura dell’emergenza che stiamo vivendo, accompagnata dall’imposizione ad un isolamento preventivo, che crea diffidenza in questo oggi e in quel domani ignoto che appunto sconosciamo.

Ci approvvigioniamo di tutte le direttive che ci giungono per superare questo tragico momento, anche nell’ambito lavorativo, come ad esempio per ciò che concerne la scuola, facciamo incetta di lezioni tecnologiche per avviare velocemente  la didattica digitale o a distanza, che non è guarnita di sguardi, risate o emozioni, e non potrà mai rimpiazzare la magia della relazione, ma bisogna vivere il tutto come una vera opportunità per imparare e per superare il momento storico che stiamo vivendo in prima persona.

Ma se oltre alle misure contenitive, ai disagi, al terrore vedessimo al di là del brutto, potremmo sperimentare i lati positivi di questa brutta bestia, che riporta a glorificare l’amore per i propri affetti e per la famiglia, luogo di  conforto per ogni timore. Questo nuovo tempo tutto nuovo! possiamo renderlo buono e utile focalizzandoci anche nella ricerca di quella consapevolezza che non siamo eterni e che la spasmodica ricerca di quel qualcosa che probabilmente non possiede neanche definizione, sposta negativamente ed inevitabilmente la nostra attenzione del vivere qui ed ora, il tempo presente è l’unica cosa che possediamo realmente.

Troppo spesso siamo assorbiti e rapiti dalla velocità della nostra routine quotidiana, dimentichi della ormai scontata presenza di coloro che amiamo, e rimandiamo tutto al dopo. In questo momento pare non esista neanche una vera e propria bandiera politica differente, in quanto ciascuno di noi, nel mondo è stato travolto dalla “Pandemia” che umanamente come non mai, ci affianca come veri fratelli e unisce i nostri ignoti destini, e questo ci fa dono della tanto agognata uguaglianza. Ebbene oggi il “ cattivissimo Corona virus” ci ha fatto dono di tempo prezioso e di priorità, grazie al quale possiamo fermarci e dedicare attenzione a ciò che conta davvero, e dedicare dolcemente le nostre energie ai ritmi diversi.

Più spazio funzionale per le relazioni affettive e  nella dilatazione del tempo, anche l’amore assume altre forme, e ancor più in questo frangente l’amore possiamo viverlo come antidoto alla paura, vivendo la nostra presenza come una fisicità che può abbracciare quei momenti che troppo spesso la fretta ci ha rubato. Adesso abbiamo tanto tempo che amorevolmente possiamo impiegare in svariate attività e affiancati da chi amiamo, occasione più unica che rara che dobbiamo spendere costruttivamente.

Guardare film o serie tv: sono tanti i film che magari non abbiamo visto perché distratti da altro o dal poco tempo a nostra disposizione, e del resto i servizi streaming a nostra disposizione sono parecchi;

Scrivere: è un buon momento per riprendere la vostra biro preferita o piazzarvi di fronte al pc e scrivere un articolo o magari riprendere a scrivere quel libro che avevate iniziato tanto tempo fa, che vi permetterà di riflettere;

Riguardare e rispolverare: quel vecchio album di foto che non avevate fra le mani da troppo tempo;

Pulire a fondo casa: ancor meglio delle classiche pulizie di primavera, approntate una bella pulizia generale di casa e del giardino;

Cucinare: darsi alla cucina alla cosiddetta coking-therapy è davvero catartico, permette di migliorare le proprie capacità culinarie, di inventare nuove ricette, di cimentarsi in quelle più difficoltose e ovviamente di sbollentare i brutti pensieri;

Allenarsi: oggi più che mai diveniamo consapevoli che si può restare in forma anche fra le proprie mura domestiche, utlizzando vari attrezzi quali il tapis-roulant, la cyclette, i pesi ed anche i video di aerobica e simili;

Comunicare: attraverso l’utilizzo delle varie tecnologie (al fine di accorciare le distanze,non solo quelle sanitarie d’obbligo in questo momento) possiamo chattare e magari riallacciare i rapporti sopiti con parenti e amici;

Divertirsi con i videogiochi: ne esistono di vario genere e con varie tecnologie;

Studiare: approfondire argomenti e contenuti che avremmo voluto fare da tempo;

Leggere: quel bellissimo libro che avete acquistato tempo addietro o rispolverare la collezione di topolino;

Dott.ssa Fabiana Cristina

 

La dottoressa Fabiana Cristina ci porta all’interno di un mondo ricco di grandi contrasti: l’adolescenza

Tutti i giorni non solo per ovvi motivi lavorativi vivo la quotidianità accanto ai giovanissimi, il cui viaggio in questa vita è diventato un percorso troppo tortuoso. Siamo ormai spettatori di un dramma esistenziale, che è quasi diventato lo stigma di questo importante periodo di grandi cambiamenti. Le transizioni a volte sono repentine e i giovanissimi sono investiti d’improvviso da turbolente sensazioni e stati emotivi, che divengono quasi ingestibili.

Il salvagente potrebbe essere rappresentato dall’uso della parola e quindi della comunicazione, di cui molti adolescenti sembra siano privi. L’incomunicabilità, il silenzio, l’apatia e la solitudine sembrano essere il segno distintivo di questa generazione insoddisfatta, infelice e tormentata e come loro affermano, con i mostri nella testa. Dietro all’ormai onnipresente utilizzo di sostanze alcoliche o stupefacenti, si nasconde la ricerca della bellezza e del successo sociale, che di contro nella realtà invece danneggiano le capacità cognitive, emotive ed intellettive di ogni giovane che ne fa uso.

Molte le cause silenziose che innescano certi comportamenti nocivi, a partire dalle trasformazioni corporee (dismorfofobia) che innescano crisi identitarie di auto-svalutazione, ad eventuali conflitti con il gruppo dei pari o con la famiglia, processi di separazione dalle figure genitoriali, divorzi, mancata corrispondenza di sentimenti, disturbi dell’identità di genere e tendenze sessuali, insuccessi scolastici, isolamento sociale, atti di bullismo o cyberbullismo, disturbi alimentari ecc.

Tanti i rischi e le conseguenze in cui l’adolescente diviene vittima di meccanismi psichici, fra cui il ricorso a gesti estremi e senza ritorno, che spezzano le tante vite coinvolte. D’improvviso poi ci si chiede : ma perché è accaduto l’irreparabile? Non bisogna giungere a tali livelli, perché siamo in possesso di uno strumento infallibile che è l’uso della parola, che troppo spesso per la cattiva gestione della quotidianità omettiamo di utilizzare, dimentichi del potere in esso presente.

Il luogo mentale nel quale trova casa la disperazione giovanile, oggi è annidato nel futuro, lo stesso futuro che dovrebbe dare una progettualità e una percezione della propria persona in positivo, ma fin troppo spesso questa visione del dopo è una visione solitaria, poiché i giovani d’oggi, sono troppo spesso privi di figure base di riferimento “famiglie assenti e genitori privi di valori, ingabbiati nella ricerca spasmodica e narcisistica del proprio sé “ oppure di “ famiglie pressanti che fomentano aspettative che gratifichino loro piuttosto che l’adolescente”.

I giovani adolescenti sono soggetti ad una fragilità e ad una suscettibilità a volte segreta, sempre alla ricerca silente di attenzioni, di sguardi, e gesti discreti, capaci di riallineare eventuali squilibri emotivi ed esistenziali. Una caratteristica adolescenziale è il senso di inadeguatezza che il giovane nutre di fronte alla società odierna, comandata dall’uniformità di ciascuno, fuori dalla quale divieni l’invisibile di turno, motivo per il quale l’adolescente costruisce una facciata sociale di sopravvivenza, che ovviamente non corrisponde all’identità psicologica personale autentica, che tende a snaturarlo e a demotivarlo .

La demotivazione può presentarsi come un oscuro presagio a forme depressive di vario genere , i cui sintomi li riconosciamo in :

  • irritabilità;
  • perdita o aumento di peso;
  • insonnia o ipersonnia;
  • indecisione o scarsa concentrazione;
  • bassa autostima;
  • mancanza di interesse alle attività quotidiane;
  • umore depresso o altalenante;
  • pensieri di morte;
  • agitazione psicomotoria;
  • mancanza di energia;
  • scarsa speranza rivolta al futuro ecc.

L’adolescente necessita di un sano sviluppo psichico ed emotivo, nel quale è fondamentale imparare a parlare del proprio vissuto e delle proprie emozioni senza remore e paure, soprattutto di essere giudicati malamente. L’adolescenza è quel periodo di transizione piuttosto repentino che precede l’età adulta, che di norma va dagli 11 anni di età fino ai 23 anni circa (cosiddetta tarda adolescenza). Rappresenta un arco di tempo particolarmente delicato, in cui sappiamo essere presenti una serie di cambiamenti che possono indurre a disturbi d’ansia generalizzati e disturbi depressiviì, nonché all’uso, abuso e dipendenza di sostanze, invece più tipici nelle ragazze adolescenti sono i disturbi dell’alimentazione (anoressia , bulimia). In tutto ciò è di vitale importanza la ricerca di un dialogo aperto, che non lasci spazio alcuno a pregiudizi di sorta, affinchè in un terreno così lastricato di profonde difficoltà, possano costruirsi delle solide certezze e dei rapporti piuttosto saldi che restituiscano fiducia nella vita e nel futuro.

Bisogna poter gestire l’emotività esasperata dell’adolescente , che ingigantisce senza disciplina ogni circostanza,  trasformandola in tempesta, è importante mantenere un atteggiamento comprensivo e morbido, affinchè l’adolescente impari a canalizzare positivamente tutte le sue energie e le emozioni.

La parolina magica per una strategia vincente è “empatia” ovvero non dimenticare di essere stati anche noi adolescenti e sebbene adolescenti di altre generazioni è importantissimo stabilire una complicità empatica che consenta nella relazione di abbassare al minimo gli eventuali conflitti .

L’equilibrio da stabilire è quello fra autorevolezza e complicità, in cui è necessario poter fare prevenzione e rendersi conto in anticipo di eventuali problemi. Sfatare il mito che i genitori debbano sempre essere considerati dei nemici ed è di vitale importanza rafforzare i contatti anche fisici in cui un abbraccio , una carezza o un bacio rappresentino la vera ancora di salvezza in quel mare burrascoso del periodo adolescenziale .

Oltre le nebbie – Disagi e privilegi del tempo che scorre (la vecchiaia puo’ attendere)

Un giorno improvvisamente fa breccia fra i nostri pensieri una nuova preoccupazione : “ oh Dio sto invecchiando ! “  nessuno è in grado di accettare l’idea di poter essere eclissato dall’inclemenza del tempo che vola via senza il nostro consenso . La nostra è ormai riconosciuta come la “ società dell’immagine “ nella quale fra le proibizioni costanti vi è quella di non invecchiare , camuffando quanto più possibile una giovinezza che sconosce tempo. Ma proprio di quest’ultimo parliamo , il tempo che entra ovviamente di diritto a far parte del ciclo della vita di ciascuno , che rappresenta a volte una sfida evolutiva che può sfociare in sentimenti di equilibrio o diversamente di disperazione .

Negare o non accettare il tempo che scorre via dà luogo a ciò che patologicamente viene definita  in gergo psicologico   “gerascofobia” è chiaro che ciò rappresenta l’esacerbazione di fronte ad un evento prettamente naturale e fisiologico . L’aspetto gerascofobico si caratterizza per la presenza costante di rimpianti , timore dei cambiamenti fisici  , cognitivi , psichici , disturbi depressivi , turbamenti  e angosce di vario tipo legati al proprio  eventuale decadimento fisico , al quale si risponde ricorrendo sempre più spesso anche ad interventi di chirurgia estetica. Di norma i comportamenti divengono condizioni  patologiche  e irragionevoli  , quando certi pensieri occupano parecchio tempo e danno luogo alle cosiddette “ ruminazioni mentali “ nelle quali l’attenzione è sempre rivolta alla paura dell’invecchiamento .

Le caratteristiche corrispondenti di chi è affetto dalla paura di invecchiare ,sono spesso legate a sintomi ansiosi di vario genere , nonché a stati emotivi insicuri e mancanza di realizzazione personale . Già nella cultura greca antica esistevano opinioni discordanti circa il tema della vecchiaia : Solone sosteneva come la vecchiaia fosse degna di essere vissuta in pienezza, permettendo di apprezzare i propri familiari, il valore del tempo che passa e le conoscenze acquisite nel corso della vita.

Al contempo Mimnermo affermava “quando arriva la dolorosa vecchiaia, che rende turpe anche l’uomo bello, sempre dolorosi affanni lo sconvolgono nel cuore, né si rallegra a vedere i raggi del sole, ma nemico ai ragazzi, disprezzato dalle donne, così il dio rese la vecchiaia dolorosa…

Ma non appena sia passata questa fine della stagione primaverile meglio morire che vivere”.

 Appare  quindi chiaro  come Mimnermo esalti i piaceri della giovinezza enumerando i mali della vecchiaia, che questi individua nel decadimento del corpo e dell’anima. 

La cosiddetta “terza età”  rappresenta un calcolo , un bilancio di soddisfazioni o insoddisfazioni , in cui il tempo per ovviare a certi eventuali errori è una incognita breve , che nel proprio intimo può dar luogo alla disperazione di non aver fatto del proprio meglio . La prima ruga , il primo capello bianco , il primo affanno respiratorio ci prendono prepotentemente per mano inducendoci a sensazioni di profonda impotenza , paura , tristezza e non facilmente alla rassegnazione . Ogni declino ci allontana dall’utopia dell’eterna giovinezza e cancella  la progettualità a lungo termine ed il raggiungimento di sogni e obiettivi , per i quali non abbiamo probabilmente più abbastanza tempo . Ma invecchiando d’altra parte si raccolgono invece i frutti di ciò che si è seminato e ci si può lasciar cullare dal fluire leggero degli impegni meno gravosi , che lasciano ampio spazio ad una creatività assolutamente sconosciuta e della quale bisognerebbe far tesoro. Bisognerebbe spazzare via dall’immaginario collettivo l’idea dell’anziano solo, triste ,  passivo , senza salute. Chi ha invece  la fortuna di imbattersi in uno stato  psico-fisico ottimale dovrebbe coltivare dei precisi momenti costruttivi:

1) innanzitutto approcciarsi agli altri positivamente creando e coltivando legami;

2) prendersi cura del proprio stato di salute , attenzionando uno stile alimentare sano ;

3) dedicarsi alla programmazione di piccoli o grandi viaggi , coltivare i propri hobby e arricchire se stessi     anche attraverso la lettura ;

4) proporsi ed imporsi una positività che presupponga anche l’allontanamento da persone lamentose e che hanno una visione pessimistica della vita ;

5) pianificare questa parte della  vita in modo progettualmente sereno e piacevole ;

6) dedicarsi a sane attività fisiche che incrementino la gioia di vivere ed esserci ancora .

7) accettare nella  fase ciclica e naturale della vita i  svariati cambiamenti ;

8) imparare a riconoscere la giusta importanza delle piccole e semplici cose che non sempre corrispondono a beni materiali  , un bel tramonto ne è un esempio .

Cicerone diceva che “ nessuno è tanto vecchio da non sperare di vivere ancora un giorno né alcuno tanto giovane da essere sicuro di vivere ancora un giorno “ , ciò evidenzia il timore di invecchiare nonché la paura della morte stessa. Tutti abbiamo in noi la paura di morire , e naturalmente la vecchiaia ci affianca sempre più a tale timore che rappresenta la perdita del tutto e della nostra stessa  esistenza.

Il tempo non lo si può fermare per cui se si vive piuttosto lungamente non si può non invecchiare , e tutti desiderano poter invecchiare invece che morire , ma nessuno vuole essere vecchio. Non dimentichiamo però che   “ non onorare la vecchiaia , è demolire la casa nella quale ci si deve addormentare la sera” ( Alphonse Karr ).

Dobbiamo imparare ad amare e ad amarci , amando le nostre fragilità e confortando le nostre paure , questo ci condurrà ad uno stile di vita fiero della nostra persona , che invecchiando come il buon vino acquisirà maggior valore e sapore “ Il tempo è molto lento per coloro che aspettano ,  molto veloce per coloro che hanno paura ,molto lungo per chi si lamenta ,molto breve per quelli che festeggiano , ma , per tutti quelli che amano , il tempo è eternità … “

( William Shakespeare )

Dott.ssa Fabiana Cristina

Per la rubrica.

 

Luci ed ombre sotto l’albero. Il decalogo della felicità

In  questo  magico  periodo ,  in cui Luci , colori  e  musica  accecano  e  ubriacano  i  nostri  sensi , il nostro     stato  emozionale  ed  emotivo è  attraversato da  una serie  di   reazioni  a tutti  gli  stimoli  ambientali  a  cui  siamo  volenti  o nolenti  sottoposti  ed  esposti .
Si  torna  ad  essere  bimbi  bombardati  dagli  spot  pubblicitari dei  profumi , dei pandori , dei  giocattoli , e tutte le  vetrine  sono addobbate  meravigliosamente ed  illuminate  da  abeti  decorati  che  anticipano  non  soltanto  la Nascita del buon Gesù  ma anche l’arrivo  dei  parenti  da ogni dove .
In  questo Santo  periodo  non è raro dal punto di  vista psicologico  incorrere in ciò  che  in  gergo  sul Manuale  diagnostico  e statistico  dei  disturbi  mentali  ( Dsm ) viene definito  “ Disordine  affettivo  stagionale “  che  appartiene  ad  un disturbo  molto comune  ed  è  caratterizzato da  un  moderato  ed  altalenante cambio  dell’umore , una  deflessione  ,  parallelamente al  naturale  cambio  delle  stagioni  che  accade  in prossimità  dell’inverno , ed in prossimità  dell’estate.

Detto  ciò   si  può  ben  comprendere   come  non  tutti  quindi  digeriscono il  clima  delle  festività  natalizie  che  viene  definito “  holiday  blues “   ovvero  depressione  da  feste  e  questo può  accadere  per  svariati  motivi .
Innanzitutto il  periodo  Natalizio  è  spalmato di  grandi sensazioni  di  rimpianto per  un’infanzia  che ormai  appare  perduta  e  per  questo  dovremmo  invece  sempre proteggere  quel  nostro  “bambino  interiore”   che  continua  a vivere  in  noi  e  che  dovremmo  sempre  rispettare  e  mai  soffocare.
A  volte  questo  disagio ,  questo mal vivere  il Natale  e quello  che  rappresenta , ha  molto  spesso  attinenza con delle  aspettative  che  a  suo  tempo  sono state  tradite  o hanno  rappresentato  delle  promesse mancate ( siano  esse  di tipo  materiale  o  affettivo ) .

Quindi primariamente  vivere  in modo  sereno   il Natale  dipende  anche  dalle  esperienze  vissute  nella  prima  infanzia , in  cui  i  ricordi  affettivi  possono  essere  ricollegati  alla  presenza  costante  nonché  amorevole  delle  figure  di  riferimento ,  capaci  di  soddisfare  e  accogliere  tutte  le  nostre  esigenze . Contrariamente,  altri  hanno  avuto modo di  vivere  figure di  riferimento  inaccessibili  , inadeguate , assenti o  una  rete  familiare poco  gioiosa  e  molto  ingombrante , caratterizzata  da  conflitti  mai affrontati  o  irrisolti , origine dei  sentimenti  oppositivi  o  negativi  verso  la  festività  in oggetto .

In  molte famiglie  avviene  una sorta  di  trasmissione  di  credenze  , abitudini  nonché  valori , che  possono  riconsegnare  una  sorta  di  indifferenza  o  fastidio  verso  il Natale , in cui  molto  spesso le  inevitabili  riunioni  familiari , vengono  vissute  come  imposizioni  formali. Queste  appartengono  a  dinamiche  soggettive  o  a  ricordi  emotivamente freddi  o vuoti  che  tenderanno  ad  essere  caratterizzanti    di  quella  data  persona   , ma  se  anche  un solo  attimo  di  felicità dettato dalla  tenerezza  di  un  abbraccio o di  un semplice  gesto , riuscirà  ad  invertire  tale atteggiamento  , allora  possiamo  affermare  che nulla  è andato  perduto. In ogni caso in qualunque  modo  si attenda  il Natale ,  che lo si faccia  trepidanti  o  noiosi ,    a  questa  Festa  Comandata è  difficile rimanere  indifferenti  ,  poiché  le  diverse   implicazioni   sociali , culturali  e  affettive , hanno   un impatto  psichico ed  emozionale molto  profondo .

L’approccio  psicologico  non si  concentrerà soltanto  sul  tentativo  di  cancellare le  esperienze  emotive  negative  , ma  volgerà  la propria  attenzione ad  un processo  di  miglioramento  clinico  ,  nel  quale  le  stesse  emozioni  negative  non   rappresenteranno  più  qualcosa  di  opprimente ,  ma  una  marcia  in più  per riscoprire le  potenzialità di  ciascuno di   noi. Per cui  l’allegria  forzata   ha  invece  dei  risvolti  molto  più  spiacevoli  di  quelli  affiancati  alla  presa  di  coscienza dei  momenti  malinconici  , così  come  alcuni  studi  hanno  evidenziato che  il  materialismo  (tipico  di  questo  periodo ) molto  spesso  ha  una  potente  correlazione  con un  benessere  psicofisico piuttosto  scarso.

I soldi  non   comprano  la felicità ,  gli  oggetti  materiali  illudono  e  finiscono  per  rimanere  qualcosa  di  fine a se  stesso , la felicità è  qualcosa  di molto  più  sottile  e pregiata , che  è  data  dalla  somma  di  eventi   caratterizzanti   la nostra  esistenza , ed  imparare  l’arte  di  essere  felici  diviene qualcosa di  prioritario , divenendo  anche  esperti nel  far  fronte alle difficoltà alle  quali  siamo esposti .

Se dovessimo esperire  un decalogo della felicità potremmo  racchiuderlo in questi  successivi punti :

1) Mantenersi quanto più attivi possibile ;

2) Trascorrere  del  tempo  a  fare ciò  che più  ci aggrada ;

3) Ridimensionare le aspettative ;

4) Orientarsi sul tempo presente ;

5) Stare quanto più a contatto  con la natura ;

6) Allontanarsi dalla  tipologia di persone lamentose e negative ;

7) Dedicarsi ad  attività  pratiche  “al fare” ;

8) Ascoltare buona musica ;

9) Condurre uno stile di vita sano ;

10) Lasciarsi incantare dalla magia di un bel tramonto.

A questo punto tornando al momento  fatidico del Natale , per essere felici  ,anche se non lo siamo in questo dato periodo  ,  possiamo condurre a consapevolezza  e   ironicamente  di  essere probabilmente  affetti  dalla  “ Sindrome del Grinch”  ovvero  una  forma di repulsione  per  la  festività Natalizia , cercando di modificare  e adattare  il  nostro MOI ( modello operativo interno) alle circostanze. Potremmo  disquisire  all’infinito sull’argomento , ma  resta  di  fatto  che  il  periodo  Natalizio pur essendo una  festa  gruppale-collettiva , è  pur  sempre caratterizzata dalla  soggettività  che la fa  da padrona. Non dimentichiamo  mai  anche nel periodo  dell’anno in cui bisogna essere più  buoni , che noi  siamo sempre  egoisticamente una  nostra  assoluta  priorità .

 Auguro a voi tutti ,  amanti e non del Natale  di trascorrere dei sereni giorni di relax.

 Dott.ssa Fabiana Cristina

La figura dello psicologo tra mito e realta’

La figura dello psicologo rappresenta  da sempre un mito da sfatare : “se mi rivolgo a questo professionista saro ritenuto pazzo” ; “lui potra’ leggere nella mia mente” ; “mi costera’ una fortuna” ! Innanzitutto dobbiamo operare un distinguo fra le figure professionali di :

Psicologo :  innanzitutto egli non e’ un medico , e’  piuttosto un professionista laureato in psicologia , abilitato all’esercizio della professione tramite un apposito esame di stato, che una volta superato gli consente   attraverso l’ iscrizione all’albo professionale di svolgere il proprio operato come professionista della salute focalizzando la propria attenzione sul miglioramento della qualita’ di vita dell’individuo  , nonche’ di gruppi o comunita’ promuovendone il benessere; egli inoltre puo’ svolgere la propria professione in ambito clinico , in ambito aziendale , in ambito scolastico ma anche sportivo .

Lo strumento per eccellenza dello psicologo e’ rappresentato dal colloquio che puo’ essere  affiancato alla somministrazione di test psico-diagnostici .

Psicoterapeuta : lo psicoterapeuta e’ il laureato in psicologia o medicina che consegue un percorso formativo post-lauream almeno quadriennale , presso delle scuole di specializzazione riconosciute  che possono avere svariati approcci e metodi , lo strumento clinico dello psicoterapeuta  riconosciuto e’ la psicoterapia che tende  a trattare gli eventuali disturbi psicopatologici senza l’utilizzo farmacologico  ( se la figura clinica e’ uno psicologo piuttosto che un medico ) , gli psicoterapeuti sono coloro i quali fanno riferimento alla componente cosciente del soggetto in questione , ovvero cio’ che risulta essere piu’ superficiale .

Psicoanalista : esso e’ rappresentato da uno psicoterapeuta che esercita la propria professione utilizzando un tipo di approccio freudiano ( diverso dalle varie terapie cognitive comportamentali  , sistemiche , comportamentiste ecc  …)  che attenziona l’aspetto affascinante dell’inconscio,  sul quale si puo’ intervenire riducendo o eliminando i sintomi, cancellando le cause dalle quali sono scaturiti , utilizzando tecniche ideate  proprio dal grande freud ed evolutesi negli anni .

Psichiatra : questa figura e’ il laureato in medicina e chirurgia che possiede una specializzazione in psichiatria , egli e’ quindi un medico ed ha facolta’ di prescrivere farmaci, nonche’ richiedere esami clinici di vario genere.

Questa figura si occupa della prevenzione , cura e riabilitazione e diagnosi  di eventuali e vari disturbi mentali e di comportamenti ritenuti patologici  , in qualita’ di medico puo’ avere una formazione psicoterapeutica  e quindi possedere il titolo aggiuntivo psichiatra e psicoterapeuta .

Operata  questa  distinzione  fra  le  suddette  figure  professionali ,  dobbiamo a malincuore ricordare che  ancora  oggi  alle  soglie  dell’anno  2020  molte  persone a  seguito degli  stereotipi   e dei pregiudizi  che  aleggiano  intorno  alla figura  dello psicologo  e  dello psicoterapeuta  non  accedano  a tali  servizi di  aiuto .

In  primis  il  principale  mito  da sfatare  e’  senza  alcun  dubbio  l’idea  che allo  psicologo  si  rivolgano soltanto  i  matti  ( i  fuori  di  testa ),  e  cio’  accade soprattutto  con  le persone  piu’  avanti  con gli anni  , mentre fra i  giovani  l’approccio  mentale  verso  tali figure  di aiuto  diventa sempre piu’ soft  .

Le  problematiche  del  quotidiano , eventuali difficolta’  relazionali   sentimentali  e  non , difficolta’  scolastiche  , lavorative  ,  problemi  di  salute  ,lutti  e  tutto  cio’  che  rientra  nella sfera  esistenziale   umana  , divengono il terreno  fertile  sul  quale  lo  psicologo  lavorera’  in reciproca  collaborazione  con  il  paziente , al fine  di  recuperare  un  buono  stato  di  salute  psichica , restituendo  alla  persona  le  migliori  risorse  per  fronteggiare  ogni  eventuale   disarmonia .

Una  terapia  psicologica  e’  un qualcosa  destinato  a chiunque  , in quanto  non  necessariamente  bisogna  avvertire  un  malessere  , ma  a  volte l’obiettivo e’   semplicemente    imparare  i giusti  meccanismi  che  consentano  all’individuo  o ad  una  data  comunita’  o  gruppo  di   interfacciarsi  con  gli  altri  in modo  assertivo  ed  empatico.

storicamente  nel  periodo   fascista  la  psicologia  era  assolutamente  bandita  da qualunque  istituzione  e  ogni  eventuale  pratica  veniva  censurata  e condannata , ma  i tempi  sono  cambiati  ed  il volto  della  psicologia non  ha  piu’  aloni  di  imbarazzo   o  segretezza , piuttosto   si  affianca  sempre  piu’  alle  svariate  realta’  europee  , nelle  quali  la  figura  dello  psicologo  e’  pari  a  qualsiasi  altro  specialista  della  salute   , egli  e’ un  “ professionista  della  salute “.

altro  luogo  comune  sullo  psicologo  e’  che  questo  possa  manipolare  e  leggere  la mente  delle  persone  , operando  dei  cambiamenti  all’insaputa  della  persona   stessa ,  ma  in  realta’  nessuno  possiede  il  dono della  lettura  del  pensiero ,  vi  e’  piu’  che  altro  insieme  alle  competenze  acquisite  una  concreta   ed  empatica   attenzione  ed  osservazione  dell’altro .

A  volte  si  dice  anche  che  si  possa  star  meglio  chiacchierando e  sfogando i  propri malumori  con  gli  amici  , il  che  e’  fondamentale  per  il  benessere  dell’individuo  e  tra  l’altro   non  costano  nulla ,  ma  lo  psicologo  non  e’ un  amico  e’ un  professionista  nel settore  della  salute  che mette  a  disposizione  il  proprio  bagaglio  di esperienze  e competenze  al  fine  di  indurre il  soggetto  ad  attenzionare   aspetti  psichici  fino  a quel  momento  inesplorati  ,  facendo  proprie  risorse  personali .

Il  costo  di  uno  psicologo  puo’  variare  da  terapeuta  a  terapeuta  in base  anche  alle  proprie  specializzazioni   , il  minimo  riconosciuto  e’  di  euro  40  a seduta ,  ma   da certe   spese  si  puo’ solo trarre  giovamento  e  beneficio  per  la  propria  salute  psichica , inoltre  i  periodi  di cura  non hanno  una  durata  infinita  , sono   anzi  circoscritti  nel  tempo .

Troppo  spesso  si  ricorre  con  estrema  facilita’ agli  psicofarmaci  e  ansiolitici  di vario genere ,  pensando  che  essi  compiano  magie , ma  in  realta’  il  farmaco  agisce  soltanto  sul  sintomo che  rappresenta  un  grido  d’aiuto  per  informarci   di  possibili  disfunzioni,  ed  esula  dalla   comprensione  dell’origine  del  disagio  stesso.

Tanti  i    luoghi  comuni  da  sfatare  intorno  alla  psicologia  e  agli  psicologi   , ma  appartenere  alla  razza  umana  vuol  dire  anche  attraversare  momenti  di debolezza  caratterizzati  da    malesseri  interiori,  forieri  di senso  di  inadeguatezza  e  frustrazione,    soltanto  l’intervento   dello  psicologo  puo’  condurre  il  soggetto  a   scendere   a  patti  con  la  propria  unicita’  e   a   trasformare  le  proprie  fragilita’ in  una  marcia  in piu’.

  Psicologa  Dott.ssa  Fabiana  Cristina 

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