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Scoperto un gene chiave nell’Alzheimer spontaneo: nuova molecola sperimentale rallenta la malattia nei topi

Scoperto un gene chiave nell’Alzheimer spontaneo: nuova molecola sperimentale rallenta la malattia nei topi

Circa una persona su nove oltre i 65 anni è colpita dall’Alzheimer – la forma più diffusa di demenza – ma solo una piccola parte dei casi è legata a mutazioni genetiche note. La stragrande maggioranza dei pazienti sviluppa una forma cosiddetta “spontanea”, di cui finora non si conoscevano le cause. Un gruppo di ricercatori dell’Università della California a San Diego ha individuato un possibile colpevole: il gene *PHGDH*, che sembra avere un ruolo diretto nello scatenare la malattia.

Un enzima con una doppia vita

PHGDH è noto per produrre un enzima coinvolto nella sintesi della serina, un amminoacido fondamentale per il cervello. Tuttavia, i ricercatori – guidati da Sheng Zhong – hanno scoperto che questo gene svolge un secondo ruolo, fino ad oggi sconosciuto: controlla indirettamente quali geni si attivano o si spengono nei neuroni, alterando gli equilibri cellulari. Questo “lavoro nascosto” sembra proprio innescare i meccanismi degenerativi tipici dell’Alzheimer.

La conferma tra topi e organoidi cerebrali

Utilizzando modelli animali e organoidi cerebrali umani, i ricercatori hanno dimostrato che alti livelli di espressione di *PHGDH* accelerano la malattia, mentre livelli più bassi la rallentano. Grazie all’intelligenza artificiale, è stato possibile osservare la struttura tridimensionale della proteina e scoprire che possiede una parte simile a un dominio di legame al DNA – un indizio che ha guidato alla scoperta del suo ruolo di “regolatore genetico”.

NCT-503: una molecola che spegne l’interruttore

Una volta compreso il meccanismo, i ricercatori hanno cercato una molecola capace di interferire con questo nuovo ruolo di PHGDH – senza però ostacolarne la funzione metabolica. Così è emersa *NCT-503*, una molecola già studiata in passato, che ha mostrato di poter accedere alla struttura interna della proteina e bloccarne l’attività regolatoria. Nei test su due modelli murini della malattia, la molecola ha ridotto la progressione del deterioramento, migliorando memoria e ansia nei topi.

Un passo verso nuove terapie orali

La grande novità sta nel fatto che questo nuovo approccio agisce a monte della formazione delle famose placche di beta-amiloide, mirando alla radice del processo degenerativo e non ai suoi effetti tardivi. Anche se i modelli animali non riproducono perfettamente l’Alzheimer spontaneo umano – avvertono gli autori – i risultati sono incoraggianti.

«Ora abbiamo una molecola candidata con efficacia dimostrata, che potrebbe essere ulteriormente sviluppata in test clinici», ha dichiarato Zhong. Un ulteriore vantaggio? Essendo una piccola molecola, potrebbe essere assunta per via orale – evitando le infusioni complesse richieste da molte terapie attuali.

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