Bloccare una proteina chiave dell’immunità fa regredire i tumori epatici nei topi

Bloccare una proteina chiave dell’immunità fa regredire i tumori epatici nei topi

Bloccare l’azione dell’eritropoietina (EPO) – una proteina storicamente associata alla produzione di globuli rossi – ha trasformato tumori epatici “freddi” nei topi, ovvero resistenti all’attacco immunitario, in tumori “caldi”, ricchi di cellule immunitarie pronte a combattere il cancro. Lo studio, pubblicato su *Science*, mostra che, combinando questa inibizione con l’immunoterapia anti-PD-1, si è ottenita la regressione completa dei tumori nel modello animale. I topi trattati hanno vissuto fino alla fine dell’esperimento, mentre quelli non trattati sono deceduti in poche settimane.

Una connessione sorprendente tra EPO e immunosoppressione

«È un passo avanti fondamentale nella comprensione di come il sistema immunitario venga acceso o spento nel cancro», ha commentato Edgar Engleman, professore di patologia e medicina a Stanford e autore senior dello studio. «Sono estremamente entusiasta di questa scoperta; spero che le terapie basate su questo meccanismo arrivino presto alla sperimentazione clinica».

Il ruolo ambivalente dell’eritropoietina

Sebbene l’EPO sia da tempo usata per trattare l’anemia nei pazienti oncologici, già nel 2007 la FDA aveva imposto un avviso severo dopo aver osservato che la somministrazione del farmaco poteva accelerare la crescita tumorale. «Ora abbiamo capito perché – spiega Engleman – l’EPO agisce anche come silenziatore della risposta immunitaria». In particolare, i tumori “freddi” mostrano livelli elevati di EPO, generati da condizioni di ipossia interna. Questo stimola i macrofagi a diventare soppressori delle cellule T, disattivando così le difese del corpo.

Il test: modificare l’EPO cambia tutto

Usando tecniche di editing genetico, i ricercatori hanno manipolato tumori epatici nei topi per ridurre o aumentare la produzione di EPO. Quando l’EPO veniva bloccata, anche tumori inizialmente “freddi” diventavano “caldi” e aggredibili dal sistema immunitario. Al contrario – nei tumori geneticamente potenziati per produrre più EPO – anche le forme tumorali più reattive tornavano a essere immunoresistenti.

Risultati eccezionali con la combinazione EPO/PD-1

In un test combinato, nessuno dei topi con tumori “freddi” trattati solo con anti-PD-1 ha superato le otto settimane di sopravvivenza. Ma nei topi privi del recettore per l’EPO sui macrofagi, il 40% è sopravvissuto fino alla fine dello studio (18 settimane). Ancora più sorprendente: tutti gli animali privi di recettore EPO e trattati anche con anti-PD-1 sono sopravvissuti per l’intera durata dell’esperimento.

Prossimi passi verso la sperimentazione umana

La sfida ora è traslare i risultati ai pazienti. Bloccare l’EPO in modo non selettivo potrebbe causare anemia – effetto collaterale importante ma forse accettabile in ambito oncologico. Un’alternativa più precisa sarebbe colpire solo i recettori EPO sui macrofagi tumorali. Engleman e Chiu, coautori dello studio e fondatori della biotech ImmunEdge Inc., stanno già sviluppando soluzioni in tal senso.

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