Al cine teatro Garibaldi di Piazza Armerina il film Thunderbolt

Una boccata d’aria fresca per il Marvel Cinematic Universe
A distanza di pochi mesi dal discusso “Captain America: Brave New World”, i Marvel Studios tornano al cinema con un titolo che – per molti versi – sorprende e rianima l’interesse nei confronti del loro universo narrativo. “Thunderbolts”, atteso con più dubbi che entusiasmo, si è rivelato invece un film capace di scuotere le aspettative e risvegliare emozioni sopite. Il progetto, travagliato fin dalla scrittura, si presenta come un cinecomic atipico, più riflessivo che spettacolare, più intimo che roboante.
Il regista Jake Schreier orchestra un’opera che si prende il suo tempo – e il suo spazio – per raccontare personaggi già noti, ma mai davvero approfonditi. Lontano dalle geometrie narrative del multiverso e dalle formule già collaudate, “Thunderbolts” abbraccia il passato del Marvel Cinematic Universe per trarne nuova linfa; e lo fa con delicatezza, malinconia, e qualche guizzo di ironia mai fuori posto.
Una squadra di disadattati e l’ombra di Valentina
I protagonisti non sono eroi nel senso classico del termine. Sono figure rotte, spezzate, in cerca di una seconda occasione. Ritroviamo Yelena Belova, Taskmaster, Ghost, Red Guardian e il controverso John Walker, tutti riuniti da Valentina Allegra de Fontaine – interpretata da una Julia Louis-Dreyfus che gioca sul filo tra ambiguità e cinismo. La sua figura dirige le operazioni con un piglio sardonico, cercando di insabbiare i peccati commessi quando era alla guida della CIA. Un piano che però sfugge di mano, portando a una reazione a catena fatta di ribellioni, scontri e – lentamente – consapevolezze.
La prima parte del film si muove in un ambiente chiuso, quasi teatrale, in cui i personaggi si osservano, si sfidano e si misurano. Non c’è una vera minaccia esterna a spingere l’azione, e questo permette alla scrittura di prendersi il tempo necessario per far respirare le dinamiche di gruppo. Alcuni personaggi emergono più di altri: Florence Pugh domina la scena, Harbour diverte, Wyatt Russell sorprende. Ma a colpire è l’equilibrio generale – quello strano equilibrio tra introspezione e ironia pungente che tiene a galla l’intero impianto narrativo.
Il dolore dietro le maschere
È nella seconda parte che il film decolla davvero. I toni si fanno più cupi; le dinamiche più serrate. Gli antieroi del titolo si ritrovano a fare i conti con il proprio vuoto interiore – quel dolore mai risolto, quella rabbia repressa, quel desiderio di espiazione che non trova mai davvero forma. E in mezzo a loro si inserisce un volto nuovo: Bob.
Interpretato da Lewis Pullman, Bob rappresenta il vero elemento di rottura. La sua presenza inquieta, silenziosa, conduce la narrazione verso territori inediti. Marvel non aveva mai trattato con tale profondità il tema del disagio mentale; qui invece, lo fa con rispetto, sensibilità – e una delicatezza quasi straniante.
Quando l’azione serve la storia, non il contrario
Le sequenze d’azione – per quanto presenti – sono al servizio dei personaggi. Coreografate con intelligenza, non rubano mai la scena al cuore del film: le relazioni, le paure, i desideri. Jake Schreier dimostra che è ancora possibile realizzare un cinecomic che non sia solo un’esplosione di CGI e battute a raffica, ma che racconti qualcosa di vero – e anche di doloroso.
Con una durata contenuta – due ore ben calibrate – “Thunderbolts” evita le lungaggini e si avvia verso un finale forse affrettato, ma efficace. La scena post-credit? Da sola vale il prezzo del biglietto.
Ritorno al futuro (con uno sguardo al passato)
Quello che colpisce di più di “Thunderbolts” è la sua capacità di parlare al pubblico senza filtri. Non cerca consensi facili; non cerca effetti speciali per coprire la debolezza della sceneggiatura. Al contrario, osa – e nel farlo, riconnette le fila di un universo narrativo che, negli ultimi anni, sembrava aver perso bussola e cuore. Non è un caso che la frase più potente arrivi proprio nei minuti finali: «it’s all connected» – tutto è collegato.
Non sarà il film perfetto, ma è probabilmente il film di cui il Marvel Cinematic Universe aveva più bisogno.
Lucia sansone per StartNews